Evoluzione del Trattamento Antiriflesso sulle lenti

Dagli Anni Trenta alla nostra epoca.

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  1. Marco Ghirardi
     
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    La cosa migliore che mi viene in mente è postare il fantastico lavoro di Giuseppe Ciccarella, assoluto esperto in argomento.

    Faccio solo notare che il Dott. Ciccarella parla di doppio e triplo strato già negli anni che precedono o durante (1942) il secondo conflitto mondiale.
    Questo dettaglio non fa che confermare, per l'ennesima volta, che la tecnologia militare precede in media di 20/30 anni quella normalmente disponibbile sul mercato consumer. Tale fatto, in termini di efficenza si commenta da solo. E questo aspetto è tuttora valido.

    Buona lettura.



    ANTIRIFLESSO E VETRI

    Testo di Giuseppe Ciccarella

    Nel 1935 Bausch & Lomb negli Stati Uniti d’America e in Germania il Dr. Smakula della Carl Zeiss Jena, e la Ernst Leitz di Wetzlar, quasi simultaneamente, svilupparono le prime tecnologie al Floruro di Magnesio per il trattamento multistrato (due strati) antiriflesso dei vetri ottici. Dal 1942 gli strati multipli arrivarono a tre. Naturalmente i costi di queste
    applicazioni erano elevatissimi, tant’è che erano impiegati esclusivamente nell’ambito
    militare e di conseguenza era mantenuto il massimo riserbo.
    In seguito si è saputo che nel periodo bellico gli obiettivi della Eastman Kodak per la
    ricognizione aerea raggiungevano prodigiosi risultati grazie a sostanze come l’Uranio, che
    in minimali entità sulle lenti frontali, garantiva l’effetto antiriflesso, e grazie anche all’uso di
    vetro al Torio, anch’esso radioattivo, nell’ultima lente dell’obiettivo Aero-Ektar, si
    migliorava il coma alle massime aperture e l’aberrazione cromatica.
    L’uso di questi strati ai floruri sulle superfici in vetro di gruppi ottici, poté incrementare la
    trasmissione della luce dal 65 all’80%, un aumento di contrasto e la riduzione dei riflessi
    interni. Questo fu un notevole passo avanti della tecnologia in campo militare prima, ed in
    quello consumer poi. Dopo il conflitto mondiale, l’utilizzo “civile” di questa scoperta si
    limitava ad un singolo strato antiriflesso e rimase lo standard fino alla metà degli anni
    sessanta quando il multistrato iniziò ad essere comunemente impiegato.
    Le più comuni sostanze utilizzate sono il Floruro di Magnesio ed il Floruro di Litio e
    possono essere utilizzati su molti tipi di vetro, il procedimento prevede l’evaporazione di
    tali sostanze in quantità dosata entro appositi contenitori posti sotto vuoto. Il vapore
    condensato di questi floruri, precipitando, si deposita sulla superficie delle lenti creando un
    rivestimento di spessore calcolato, in grado così di contrastare l’effetto dei raggi di luce
    riflessa.
    L’uso del multistrato, decantato da vari fabbricanti, ha ingenerato spesso una grande
    confusione tra gli acquirenti, e i sensazionali proclami pubblicitari hanno spesso connotato
    aspetti anche fraudolenti. Nei primi anni cinquanta, ad esempio, alcune marche
    giapponesi di binocoli furono importate negli Stati Uniti.
    La documentazione che li accompagnava assicurava che il sistema
    ottico era dotato di trattamento antiriflesso multistrato. In realtà solo la superficie esterna
    dell’oculare e della pupilla d’uscita erano stati trattati con un singolo strato, gli altri elementi
    ottici interni ne erano completamente privi.
    Nel 1972 l’Asahi Pentax compie un altro passo avanti perché acquista da una società
    americana, la tecnologia per l’applicazione dell’antiriflesso nella produzione di serie. Tale
    tecnologia, di derivazione militare, mantiene l’eredità radioattiva dello strato micronizzato
    antiriflesso. L’Asashi consigliava di non tenere addosso per lungo tempo la macchina
    fotografica con l’SMC Takumar 50/1.4 – Uranio nello strato antiriflesso dell’ultima lente - e
    di togliere prima possibile la pellicola dalla macchina.
    Di lì a poco si diffuse una corsa commerciale: Fuji vantò l’introduzione di un proprio
    trattamento con ben undici strati diffusi da un esclusivo cannone elettronico.
    In un obiettivo fotografico la luce che attraversa le singole lenti compie dei passaggi
    intermedi attraverso l’aria che separa le lenti. Questo percorso determina una perdita
    indesiderata di luce, inoltre si formano interiflessioni parassite, ogni volta che la luce dal
    vetro attraversa l’aria per poi rientrare nel vetro e così via per il numero degli elementi che
    costituiscono il gruppo ottico. L’efficacia del multicoating permette di limitare le perdite
    percentuali per riflessione, confermando quindi l’utilità del trattamento.
    Quando compaiono aloni nelle fotografie in controluce si pensa che l’obiettivo possa non
    essere all’altezza. In realtà le condizioni estreme mettono a dura prova l’intero sistema
    ottico. Il trattamento multicoating perde efficacia se la luce è molto obliqua con angolo
    d’incidenza che supera il 60%, a 120% poi la capacità del multistrato si dimezza. In
    definitiva il trattamento multistrato non è lo specifico miracoloso. Uno schema con pochi
    elementi, al di la del trattamento multistrato, può dare buoni risultati grazie al ricorso a vetri
    a dispersione anomala. La conferma ci viene da Leitz, che a lungo ha sostenuto che per
    talune ottiche luminose, non è necessario applicare sistematici trattamenti multistrato
    perché la differenza la fanno i preziosi vetri ad alto indice di rifrazione, insieme al collante
    Absorban per le lenti e non ultimi gli schemi ottici. Il mix garantisce una trasmissione della
    luce intorno al 96% circa. Nel 1973 Leitz applicò il trattamento multistrato su alcuni obiettivi
    perché apportava reali vantaggi. Ad esempio, il Summilux-M 35/1.4 solo dal n° 2.930.000
    circa (1978), ha ricevuto il trattamento multicoating (riflessi color giallo ocra e magenta),
    perchè il trattamento apportava reali vantaggi. Leitz non ha mai sbandierato con enfasi,
    continue avveniristiche innovazioni. La discrezione, legata alla storica e consolidata
    austerità dirigenziale è legittimata anche da fattori riconducibili al suo impegno nei delicati
    settori della difesa. Lo stabilimento Leitz di Midland in Canada, poteva insieme al Leitz
    Glass Research Laboratory di Wetzlar, essere annoverato nel ristretto ambito dei centri di
    ricerca ottica d’eccellenza. Osservando un 180 Apo-Telyt, derivato dal 180 Elcan per la
    U.S. Navy, non notiamo particolari strati antiriflesso dai colori variopinti, eppure a tutt’oggi
    risulta essere uno dei migliori obiettivi sulla scena mondiale.
    La U.S. Navy richiedeva specifiche elevatissime, l’eminente Dr. Walter Mandler inserì nello schema un vetro ottico
    “ipotetico” dalle prestazioni estreme
    , irraggiungibili dai vetri esistenti. Il centro ricerca ottica
    di Midland, che faceva capo alla vetreria dai giganteschi forni di fusione capaci di sfornare
    tonnellate di vetro ottico speciale, impiegò tre anni in ricerca e sviluppo per inventare, il
    vetro Leitz 554666, capace di rispondere alle precipue richieste del grande “guru” Mandler.
    Il progetto, classified, 180 Elcan per la marina statunitense andò così felicemente in
    “porto”.
    Quando i suoi concorrenti pubblicizzavano le virtù dei loro esclusivi procedimenti
    antiriflesso, Leitz poneva massimo affidamento alla trasparenza dei suoi vetri che
    garantivano una evidente saturazione cromatica ed un ottimo contrasto. L’uso, molto
    parco del multicoating era una scelta consapevole, e non lo escludeva in assoluto laddove
    realmente serviva. La società Elcan di Midland, del gruppo Raytheon, prosegue il
    cammino d’alta ricerca e innovazione, tracciato dal 1952 al 1990 dall’avveduto vertice
    societario Leitz. La ricerca sul vetro si è concentrata su tipi di vetro ottico variamente additivato.
    Per costruire un vetro si cerca di combinare una lente a vetro Crown ad alta rifrazione con un’altra Flint light
    a bassa rifrazione e ad indice di dispersione identico alla prima,
    per migliorare la resa cromatica. Questoper portare sul piano pellicola, a fuoco nel medesimo modo, lunghezze d’onda anche
    molto diverse tra loro. Lo scopo è quello d’ottenere una elevata nitidezza: quindi
    correzione cromatica non sinonimo tanto di “perfezione nella resa del colore” quanto
    invece di “contorni molto nitidi”. Con il termine inglese Crown si distinguono vetri che hanno una dispersione dal valore
    maggiore di 50-55. Con il termine inglese Flint si indicano vetri che hanno dispersione inferiore a 50.
    Nel corso degli anni la corsa al miglioramento delle caratteristiche dei vetri ottici trovò in
    alcune sostanze l’interesse delle case produttrici.
    Per molto tempo la Leitz ha utilizzato il Lantanio capace di restituire immagini dalla
    plasticità incomparabile. Il Lantanio ha un alto indice di rifrazione e una bassa dispersione.
    Fu detto che il Lantanio fosse radioattivo. In natura esistono due isotopi del Lantanio, uno
    dei quali residualmente radioattivo, in realtà sono le sabbie da cui si estrae il Lantanio a
    contenere isotopi radioattivi. Dai giacimenti di sabbie monazitiche del Sud Africa, India,
    Tasmania, Australia, Brasile e Venezuela, si estrae il Lantanio ma anche Cerio e Torio. La
    difficoltà a separare le sostanze, chimicamente affini, è alla base della contaminazione di
    cui può essere affetto il Lantanio. In effetti, la presenza più o meno accentuata d’isotopi
    radioattivi è legata all’origine delle Terre Rare, al luogo di provenienza, ai vari lotti di
    produzione e alle più o meno rigorose specifiche nella raffinazione. Oggi la Schott &
    Genossen (Zeiss) avverte come sia difficile l’eliminazione completa d’elementi spuri come
    il Torio, dal minerale grezzo. Altro discorso, invece, è l’impiego deliberato del Torio come
    componente in grado di elevare le caratteristiche ottiche di un dato vetro.
    Il primo obiettivo Leitz con Lantanio fu il Summicron 50 a vite del 1953. Inizialmente in fase
    d’ultimazione del progetto, per migliorarne le caratteristiche, si fece ricorso, come additivo,
    all’ossido di Torio, perché la Schott non disponeva di un vetro ad alto indice di rifrazione.
    In questi primi obiettivi è possibile trovare alcuni esemplari con la caratteristica colorazione
    giallina; il Torio, infatti, in fase di decadimento assume questa tipica colorazione. E’
    doveroso distinguere l’ingiallimento dovuto al fisiologico invecchiamento del collante che
    unisce i doppietti, come il Balsamo del Canada, che in passato era impiegato, rispetto ad
    un denso cromatismo giallastro ma anche marroncino, di una lente o di un gruppo ottico,
    dovuto come detto, all’impiego di vetri con additivo al Torio che nel tempo decade.
    In natura il Torio emette particelle Alfa e suoi isotopi emettono particelle Beta, entrambe
    innocue perché non penetranti. Il vero pericolo risiede nel Torio, presente nei vetri, con gli
    anni decade e inizia ad irradiare raggi Gamma e X. Inutile dire quanto siano dannosi i
    penetranti raggi Gamma e X.
    Il Summitar* del 1950 aveva quattro lenti all’ossido di Torio 691548 – la prima, la terza, la
    sesta e la settima – e non fu possibile dai progettisti aggiungere una lente all’ossido di
    Piombo che schermasse la pellicola dalla velatura da radiazioni.
    Nel 1954 Leitz utilizzò, per il Summicron 50 il famoso vetro Crown al Lantanio LaK9, da lei
    stessa progettato e prodotto – nel primo, nel terzo e nel sesto elemento - ad alto indice di
    rifrazione, non “drogato” dal Torio. Leitz cedette la licenza costruttiva del LaK9 a diverse
    industrie ottiche prime fra tutte la Schott che potè renderlo disponibile in quantità
    industriali.
    In seguito Leitz utilizzò i vetri al Lantanio della Schott per l’Elmar 50/3.5 e nel successivo
    50/2.8; il Lantanio fu utilizzato per la prima lente, LaKN9, e l’ultima, LaK9, entrambi vetro
    proprietario Leitz.
    Nel 1966 Marx e Sindel “padri” del Noctilux 50/1.2, utilizzarono vetri, ad altissima rifrazione
    e dispersione ridotta, tra i quali il vetro Leitz PKT98, sviluppati nel Leitz Glass Research
    Laboratory. Allo sviluppo e alla conseguente produzione di vetri specialissimi tra i quali, il
    famoso vetro Leitz 900/1, utilizzato per la seconda e la quinta lente del 50/1.2 e poi anche
    nel Noctilux successivo del Dr. Mandler, prese parte oltre a Broemer e Meinert anche
    Ernst Leitz III. Nel 1976 il nuovo 50/1 aveva la seconda e la quinta lente, in vetro Leitz 900403, del Leitz
    Glass Research Laboratory, il vetro della prima lente LaK12 della Schott, mentre la sesta
    e la settima LaF21 sempre del Leitz Glass Research Laboratory.
    Gli obiettivi successivi ai Summitar* e ai primissimi Summicron a vite – nei quali era
    presente il Torio - utilizzavano Lantanio ben lavorato, che non presentava emissioni
    radioattive superiori al fondo naturale.
    Leitz già dagli obiettivi APO usò il fosfato di Fluoro con dispersione pressochè nulla, e
    smise di utilizzare vetri al Lantanio. Schott, comunque, tuttora ha in produzione vetri al
    Lantanio. Per i vetri speciali UD e ED, rispettivamente Canon (tranne i Canon Fluorite) e
    Nikon usano ancora il Lantanio e Terre Rare non accuratamente raffinate. La spiegazione
    sta nel fatto che per eliminare le incresciose aberrazioni cromatiche, i nipponici ricorrono ai
    vetri alle Terre Rare a bassa dispersione, che garantiscono buoni risultati anche se le
    emissioni radioattive superano il fondo naturale. In effetti, ci sono obiettivi storici Leitz e Zeiss dalla resa affascinante e unica proprio perché utilizzano vetri additivati alle Terre Rare. La loro residuale emissione radioattiva
    non riuscirà a farceli detestare.

    Dedicato a Ghester.

    Giuseppe Ciccarella

    Yb2pF9d

    Edited by Marco Ghirardi - 27/12/2014, 22:58
     
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